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Gli studenti possono porre quesiti, formulare
osservazioni sugli argomenti
svolti a lezione e, più in generale,
sui contenuti del corso, sul metodo di studio ecc... scrivendo direttamente a: Bettinelli@costituzionale.unipv.it . Domande, osservazioni, interventi e relative risposte
saranno inseriti ogni settimana in questa pagina. Non saranno presi in considerazioni messaggi anonimi.
27 - Domanda:
sto seguendo con apprensione, come tutti gli italiani,
quanto sta avvenendo in queste ore a Roma e vorrei conoscere il suo parere su
un punto tecnico.
L'odierna seduta della Giunta per il Regolamento della
Camera dei Deputati ha dichiarato concluso l'iter di approvazione del
Rendiconto Generale dello Stato, impedendo la discussione anche del disegno di
legge sull'assestamento di bilancio, ad esso collegato. Tale decisione
impedisce al Governo di ripresentare il medesimo testo, prima che siano decorsi
sei mesi, anche se l'articolo 81 Cost. sancisce l'obbligatorietà
dell'approvazione annuale del Rendiconto.
Pare che il Governo, una volta riottenuta la fiducia, voglia
superare tale ostacolo ripresentando alla Camera lo stesso disegno di legge contenente
il Rendiconto, anche perché esso è immutabile. Ma l' art. 87 Cost. stabilisce
che il Presidente della Repubblica "Autorizza la presentazione alle Camere
dei disegni di legge di iniziativa del Governo".
Potrebbe il Presidente della Repubblica negare tale
autorizzazione, obbligando il Presidente del Consiglio alle dimissioni?
Andrea Strambi
Risposta:
È assai probabile che, data l’emergenza economica e
finanziaria, il Presidente della Repubblica autorizzi la presentazione al
Senato di un disegno di legge “riformulato”, affinché il rendiconto generale
dello Stato possa essere approvato, con un nuovo iter. Altrimenti si bloccherebbe la stessa sessione di bilancio,
con conseguente impossibilità di deliberare non solo l’assestamento, ma
addirittura il bilancio di previsione per il 2012. Peraltro, sul procedimento
da seguire permangono incertezze: la Corte dei Conti, ad esempio, dovrà
reiterare il suo giudizio di parificazione? Quanto alle dimissioni del Presidente
del Consiglio, il Presidente della Repubblica non può pretenderle (forse
potrebbe sollecitarle attraverso la sua moral
suasion). Certamente, a mio avviso, disporrebbe del potere suo proprio di scioglimento del
Parlamento. Ma non pare che la situazione consigli questa strada.
26 - Domanda:
...
ho
seguito con interesse una delle prime lezioni del corso di diritto
costituzionale, quando, nell'ambito del discorso sul “fenomeno stato”, abbiamo
parlato delle socialdemocrazie e della relativa polemica del “gigantismo”
dell’organizzazione pubblica, del principio di sussidiarietà recentemente
adottato dalla nostra Carta costituzionale e abbiamo poi allargato il discorso
al rapporto/dibattito stato vs mercato.
In particolare, Lei ha accennato al dibattito interno al Labour Party per la ricerca
di una "terza via" social-liberale.Vorrei approfondire questa
problematica, con riguardo, soprattutto, al rapporto tra Stato e mercato. Nella
prefazione alla edizione UTET-Libreria della Teoria Generale dell'interesse e della moneta di J.M Keynes, Giuseppe
Berta afferma che il laburismo può considerarsi destinatario naturale del
pensiero economico keynesiano e che proprio Keynes ha indicato la "terza
via fra il capitalismo individualista e il collettivismo di stato".
Potrebbe
consigliarmi qualche altra lettura?
Gaia Morra
Risposta:
Le discussioni sul giusto equilibrio tra stato e mercato
sono sempre assai vive e attuali, soprattutto in una fase in cui il mercato
(globale) sembra prevalere sugli stati (nazionali), sempre più insufficienti e
inadeguati per il perseguimento di obiettivi di convivenza inclusiva, che non crei insostenibili fratture sociali e
l’emarginazione di categorie sempre più ampie di individui (immigrati, giovani
in cerca di occupazione, malati ecc..), che di
fatto perdono la dignità di persona (ricordiamo la Costituzione agli artt.
3, c. 1, 36, 41, c. 2, ). Sul tentativo di ricercare “una terza via” può
leggere il contributo, ormai un classico, di Antony Giddens, La terza via, Il
Saggiatore, 2001.
25 - Domanda:
...
chiedo
un chiarimento sull'acquisto della cittadinanza da parte di stranieri
extracomunitari. Nel manuale e nella sua lezione si precisa che il soggetto
interessato deve pagare 200 Euro per richiederla. Questa tassa può variare in
base al reddito della persona che richiede la cittadinanza?.
Caterina Romano.
Risposta:
La
tassa (a mio avviso davvero odiosa e contraria ai principi inclusivi che sono
alla base della convivenza costituzionale) è prevista dalla legge n. 91 del
1992 (che può leggere nella raccolta di leggi consigliata per la preparazione
dell’esame) all’art. 9-bis,
introdotto recentemente dalla legislazione che si propone di contrastare
l’immigrazione in Italia (legge 15 luglio 2009, n. 94). Al comma 2 la disposizione prevede appunto che: “Le istanze o
dichiarazioni di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della
cittadinanza sono soggette al pagamento di un contributo di importo pari a 200
euro”. Si tratta di un importo una tantum che non tiene in nessun conto
le effettive condizioni (capacità contributiva) degli interessati, in contrasto
con l’art. 3 della Costituzione, letto nel suo insieme.
|
24 - Domanda:
……
Al di là del giudizio di merito
circa l'opportunità di esternare accuse così gravi nei confronti degli altri poteri
dello Stato ad opera del Presidente del Consiglio, sono rimasta in
particolar modo perplessa dinnanzi ad un'affermazione del Ministro di
Giustizia, riportata su Il Corriere della Sera:
“E’ una sentenza che sorprende, e non poco, per l'evocazione dell'articolo 138
della Costituzione. La Corte costituzionale dice oggi ciò che avrebbe potuto e,
inevitabilmente, dovuto dire già nel 2004 nell'unico precedente in materia”.
Mi chiedo se la mancata
evocazione, nella sentenza del 2004, del contrasto con l'articolo 138 della
Costituzione, sia davvero così grave, come sostiene il Ministro oppure se, come ritengo,
spetti alla Corte, e ad essa soltanto, stabilire quali argomentazioni porre a
fondamento delle proprie pronunce.
Michela Zighetti.
Risposta:
E’ davvero stupefacente che il
Ministro della Giustizia (che è anche un avvocato…) ignori l’ordinamento e il
funzionamento della Corte costituzionale e, in particolare, quanto dispongono
gli artt. 23 e 27 della legge n. 87 del 1953:
L’art. 23 impone ai soggetti abilitati a sollevare questione
di legittimità costituzionale davanti alla Corte di indicare puntualmente nell’
“apposita istanza”: “le disposizioni della Costituzione o delle leggi
costituzionali, che si assumono violate”.
L’art. 27 impone poi ai giudici
costituzionali di valutare la questione su cui sono chiamati a pronunciarsi “nei limiti dell'impugnazione”. Pertanto non spetta
loro (ma solo ai soggetti emittenti) scegliere il parametro costituzionale
per la definizione del giudizio. Si tratta di un’adesione al classico principio
del necessario rapporto tra “chiesto e pronunciato”, che è alla base
anche di altri processi (civile e amministrativo). Il
giudice (il Tribunale di Milano) nel 2003 ha sollevato questione di
legittimità costituzionale nei confronti della legge n.140 del 2003 (c.d. “lodo
Schifani”) invocando come parametri costituzionali del giudizio gli artt. 3,
101, 112, 68, 90, 96, 24, 111 e 117 della Costituzione, ma non l’art. 138.
Pertanto la Corte ha dovuto
prescinderne. Nella sentenza, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 2, della legge suddetta sotto altri profili, si osserva come
il Tribunale di Milano non abbia indicato nel dispositivo della sua
ordinanza di rinvio la “violazione anche dell'art. 138 Cost.”.
Ciò che viceversa è accaduto
nell’impugnazione della legge n. 124 del 2008 (c.d. “lodo Alfano”).
La sentenza n. 24 del 2004 si può
leggere in:
http://www.giurcost.org/decisioni/2004/0024s-04.html
23 - Domanda:
……
alla luce della recente elezione del giudice Francesco
Amirante alla Presidenza della Corte Costituzionale, mi piacerebbe conoscere la
sua opinione in merito a una questione che in verità mi pare vada al di là del
dettato costituzionale. L' articolo 135 della Costituzione al 5 comma afferma
che "la Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite
dalla legge, il Presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è
rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall’ufficio di
giudice". Sembra per prassi consolidata che ad essere eletto
Presidente -è successo con Flick e
adesso con Amirante, ma a quanto ne so è un rito che si ripete da tempo-, sia
il giudice più vicino alla conclusione
del mandato. Si spiega così il fatto che in 53 anni di attività, nonostante vi siano stati alcuni casi di
Presidenti rieletti, Amirante sia addirittura il trentatreesimo. Tutto
regolare, per carità; però non mi
sembra un comportamento virtuoso, tanto meno un messaggio edificante: l' idea
che passa è che alla Consulta, come nel resto del Paese, si voglia dare un
contentino a tutti. Ne conviene?
P.S. Possibile abbiano tutti una voglia matta di guadagnarsi
il titolo di emerito?
Antonio Manunta
|
Risposta:
Forse la questione è un po’ più complessa. E’ vero che ai
suoi esordi la Corte costituzionale ha conosciuto presidenze lunghe (Gaetano
Azzariti quasi 4 anni, Gaspare Ambrosiani ancora oltre...; l’elenco e la durata
delle presidenze si può vedere in http://it.wikipedia.org/wiki/Presidente_della_Corte_Costituzionale
).
Si trattava, allora, di affermare il ruolo della Corte (una novità di fatto nel
panorama del sistema politico
costituzionale), legandolo all’autorevolezza di giuristi insigni (e con un
immagine di conclamata sapienza, indipendenza ed imparzialità). Quando la Corte
è riuscita a radicarsi come organo di garanzia effettivamente riconosciuto dagli altri poteri, non è più sembrata necessaria una simile
personalizzazione. Nel corso degli anni i giudici di Palazzo della Consulta
sono riusciti a valorizzare in pieno il metodo della collegialità tendenzialmente unanime. In tal modo, la
“forza” della Corte è certamente aumentata. E’ in questo contesto che devono
essere inquadrate le attuali “presidenze corte”, normalmente affidate al
giudice con maggiore anzianità ed esperienza. Volentieri ricordo quanto ebbe a
dire, nella sua prima conferenza stampa, con virtuosa sobrietà Gustavo
Zagrebelsky appena chiamato alla guida della Corte: “l'elezione
del Presidente della Corte è un fatto del tutto fisiologico nella normalità
della vita della Corte costituzionale. Il Presidente non esprime alcun
indirizzo, la Corte costituzionale non ha alcun indirizzo politico. La Corte è
un organo giurisdizionale che forma le sue decisioni causa per causa, valutando
argomenti giuridici. In ogni questione costituzionale i punti di vista sono
numerosi. I giudici si orientano molto spesso su posizioni diverse che poi
trovano la loro composizione nella decisione. Non dovete quindi pensare che
l'elezione del Presidente della Corte abbia un significato particolare e possa
essere interpretata come una scelta di natura politica che sottintenda
orientamenti circa la sua giurisprudenza. Il Presidente della Corte rappresenta
l'unità della Corte costituzionale. Vi è stato anche comunicato l'esito di
questa votazione. Esso esprime esattamente il concetto che vi ho appena
espresso…”. (28 gennaio 2004).
Credo che in un momento di palese insofferenza
dell’attuale potere politico nei confronti di tutte le istruzioni di garanzia costituzionale, la Corte dovrebbe
essere apprezzata proprio per la sua capacità e attitudine di rivelarsi come
corpo coeso.
|
22 - Domanda:
……
ho sostenuto gli ultimi moduli dell'esame di Diritto
costituzionale... Una delle domande sul 7° modulo ha interessato l'azione
disciplinare nei confronti dei magistrati. Ricordavo di aver letto nel manuale
che a occuparsene era l'apposita sezione disciplinare istituita all' interno
del Csm, ma che poi nella decisione era coinvolto il plenum. Lei mi ha corretto
dicendo che era uno di quei casi in cui la competenza era esclusiva della
sezione disciplinare. Il Bin-Pitruzzella, VIII edizione, a pagina 275 dice
" la decisione, a seguito dell' avvio di un procedimento disciplinare,
spetta all' apposita sezione disciplinare istituita in seno al Csm e tale
decisione viene poi sottoposta all' intero plenum". Si intende che il
plenum avrà margine per decidere? Oppure che dovrà conformarsi alla decisione
presa dalla sezione?
Antonio Manunta
|
Risposta:
La sua segnalazione è corretta. Ma si tratta di
una svista del manuale.
Questo conferma che è sempre
bene affidarsi innanzitutto alle fonti: artt 6 e 17, u.c., della l. n.195/1958
da leggersi "in sistema".
La posso anche rinviare a una
breve nota di Mario Fresa (componente della sezione disciplinare del CSM) che
spiega bene la peculiarità dei procedimenti "giuridizionali" davanti
alla Sezione disciplinare. Veda in particolare il prg. 7: http://www.movimentoperlagiustizia.org/il-punto-su/602.html
Considerando la Sua attenzione, che apprezzo molto, Le segnalo anche
un'importante e recentissima sentenza delle Sez. Unite della Cassazione (sul
caso De Magistris) dove, ancora una volta, sono evidenziati il procedimento
disciplinare e la loro natura:
http://toghe.blogspot.com/2008_07_01_archive.html
|
21 - Domanda:
……
Siamo in piena campagna
referendaria. Affiorano, a mio parere, due questioni: una di sostanza e l’altra
formale o, meglio, tecnica. La prima riguarda la legge 40/2004 e fa solo da
corollario al nostro discorso. La seconda riguarda un istituto quale il
referendum. La situazione corrente: se si raggiunge il quorum, quasi
certamente, il risultato sarà a favore del SI'; quasi paradossalmente, di
conseguenza, chi è contrario alle istanze referendarie dovrà astenersi per
mantenere le cose così come stanno. I miei interrogativi: crede che sia ancora
valida la disciplina del quorum o che l’esperienza storica abbia dimostrato il
contrario? Qualora non ci fosse tale vincolo, non crede che si
contrasterebbe l’astensionismo incentivando la gente a votare? Ma
soprattutto: questo espediente tecnico non rischia di compromettere la libera
espressione della propria volontà da parte dei cittadini?
La ringrazio in anticipo per la
disponibilità,
Mattia Joseph
Mariotti
|
Risposta:
Quando elaborarono l’art. 75 della Costituzione e, più
specificamente, la regola del quorum di partecipazione ai fini della validità
del referendum abrogativo i Costituenti erano certamente condizionati dal fatto
che il 2 giugno 1946 per l’elezione dell’Assemblea costituente votò l’89,1
percento degli aventi diritto. Né allora -allo stato nascente della democrazia
repubblicana- si poteva immaginare che mezzo secolo dopo si sarebbe consolidato
un atteggiamento diffuso di disinteresse nei confronti della politica (ed anche
delle questioni pur assai importanti per la convivenza civile), pari a circa il
25 per cento dell’elettorato. Cosicché è sufficiente un ulteriore 25 per cento
di “astensionismo militante” per vanificare qualsiasi referendum abrogativo.
Si tratta di un problema serio, ma certamente de jure
condendo: si deve valutare l’opportunità di modificare la Costituzione. Magari
accogliendo la soluzione adottata nel nuovo Statuto della Regione Toscana, che
all’art. 75, comma 4, prevede che: “La proposta di abrogazione soggetta a referendum
è approvata se partecipa alla votazione la maggioranza dei votanti alle ultime
elezioni regionali e se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi”.
Sul piano dell’etica
costituzionale ho avuto occasione di esprimere di recente il mio pensiero in
una relazione (Il valore del voto) svolta in un Convegno a Caserta sulla
rappresentanza politica. Tra i fattori di “svalutazione del voto” nell’opinione
pubblica ho indicato proprio: “la “valorizzazione” dei comportamenti
astensionisti “concludenti” nei referendum abrogativi per i quali il voto
negativo, in presenza della regola del quorum di partecipazione ai fini della
loro validità, può addirittura risultare controproducente rispetto
all’obiettivo di conservare la vigenza della legge oggetto della richiesta
abrogativa.” Ho aggiunto: “Si potrebbe, in proposito, astrattamente
sostenere come la disponibilità di variegate opzioni in capo agli elettori
nelle consultazioni referendarie costituisce un arricchimento per la democrazia
e non una regressione. In verità, questa opinione pare fallace in quanto non
considera che la scelta consapevole e ragionata di chi diserta le urne
scommette e confida su una consistente indifferenza (che non è scelta) di una
notevole parte del corpo elettorale. L’indifferenza è un atteggiamento che può
convenire alle autocrazie, ma può diventare una patologia anche letale per la
qualità delle democrazie.”
In ogni caso, i costituzionalisti non la pensano tutti
alla stessa maniera. In proposito si può leggere la polemica tra i professori
Baldassarre e Ainis, su La Stampa del 14
maggio 2005, cliccando sui sottostanti links:
http://rassegna.governo.it/Testi/140505/0514I0882.PDF
www.lastampa.it/search/albicerca/ng_articolo.asp?IDarticolo=1117055&sezione=Italia |
20 - Domanda:
……Dove posso ricercare ulteriori informazioni a proposito
dei procedimenti per l'approvazione e la
modifica dei regolamenti parlamentari. Premettendo che ho seguito ogni
sua lezione con attenzione, nei miei appunti non credo di avere sufficiente
materiale per confrontare e ampliare le conoscenze fornite dal manuale di
studio (Bin-Pitruzzella).
Saia Arianna
|
20 -Risposta:
Occorre ovviamente rivolgersi alle fonti; e,dunque, studiare
i regolamenti parlamentari. Sulla questione veda l'art. 16 del Regolamento
della Camera e l'art. 167 del Regolamento del Senato.
19 - Domanda:
……Le
chiedo…..se gentilmente mi può chiarire il significato etimologico di fisco
(cesta per oblazioni o tesoro dell'imperatore, distinto dall'erario?).
Inoltre
quale è il reale pensiero di Montesquieu: il Prof. Aimo nelle sue lezioni ha
detto che Montesquieu, guardando all'Inghilterra, prospetta un sistema
bicamerale, mentre lei che ne "Lo spirito delle leggi" non si parla
di bicameralismo…
Simone della Valle |
19 -Risposta:
I. Etimologia del termine "Fisco". Confermo
quanto Lei scrive. Deriva dal latino fiscum, che in origine significava
"canestro", cesto che raccoglieva le oblazioni dei cittadini; in
epoca imperiale la parola assunse il significato traslato (che poi è rimasto)
di cassa (tesoro) dell’imperatore (e quindi dello stato).
II. Montesquieu: ci siamo intesi male. Il filosofo apprezza, eccome, il
bicameralismo come si era prodotto in Inghilterra. Ma questo aspetto non fu
particolarmente recepito dai suoi interpreti più radicali del 1789-91. Per Sua
comodità le segnalo un estratto de Lo spirito delle leggi in: www.geocities.com/settecento_2000/Doc/SpiritoLeggi.htm
18 - Domanda:
Gentile Professore, Le scrivo per conoscere
indirizzi internet, riviste che trattino
l'attuale argomento delle riforme costituzionali.
In particolar modo sarei interessato a leggere
articoli, saggi circa il disegno di legge
approvato il 24 marzo al Senato n.2544,
ma anche sulla proposta di legge dell'opposizione,
n.1933 e n. 2320 (...)
Daniele
Imbruglia
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18 -Risposta:
Ecco i principali siti di dottrina
costituzionalistica dove è possibile trovare un larghissimo
ventaglio di opinioni sulle riforme costituzionali
in discussione:
www.associazionedeicostituzionalisti.it/
http://web.unife.it/progetti/forumcostituzionale/
www.costituzionalismo.it/
17 - Domanda:
Potrebbe spiegarmi il procedimento per l'approvazione e
modificazione dei regolamenti parlamentari e la classificazione degli organi
interni delle camere (a caratterizzazione tecnica e a caratterizzazione
politica). Sul libro Bin-Pitruzzella non l'ho trovata.
Davide Palmirotta
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17
- Risposta:
Innanzitutto un’osservazione di metodo per la preparazione
dell’esame di diritto costituzionale. La lettura dei manuali non è sufficiente.
Come ho ribadito più volte, essi devono essere integrati con l’attento
studio delle fonti normative più importanti in materia costituzionale e,
in particolare, con i regolamenti di ciascuna Camera, i quali individuano e gli
organi interni dell’organizzazione parlamentare e prevedono i procedimenti a
cui gli stessi sono preposti. L’approvazione
e la modificazione dei regolamenti parlamentari viene disciplinata dall’art. 16
del Regolamento della Camera e dagli artt. 18-167 del Regolamento del Senato.
Basta leggerli…
Per quanto riguarda la classificazione degli organi delle
Camere ne ho parlato a lezione e le lezioni sono accessibili sul sito (basta
seguire la semplice procedura ivi indicata… e chiedere la PW).
In ogni caso, si possono definire a caratterizzazione
tecnica tutti quegli organi interni (come le Giunte) che sono chiamati ad
affrontare questioni non strettamente politiche che interessano
l’organizzazione e il buon funzionamento delle Camere medesime. Sono a
caratterizzazione politica quegli organi (come i gruppi parlamentari e le
commissioni legislative…) in cui prevale l’elemento dell’appartenenza politica
e che affrontano questioni di rilevanza politica, per le quali il confronto tra
maggioranza e opposizioni è decisamente più accentuato.
16 - Domanda:
Non ho ben chiaro quale sia la
differenza tra i principi che regolano i rapporti tra le fonti ed i
criteri, in quanto temo di confondere i due termini; e inoltre vorrei
sapere cosa e quali sono i limiti interni e quelli esterni dell'attività
legislativa.
La ringrazio per la
disponibilità.
Dora Siciliano
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Le espressioni “principi” e “criteri” vengono utilizzate
anche dai costituzionalisti e (dagli stessi autori dei manuali!) molto spesso
con una certa approssimazione e libertà. Nel testo Caretti-De Siervo, la
“gerarchia delle fonti”, la “competenza delle fonti”, l’ “efficacia delle fonti
del medesimo livello, in rapporto al tempo della loro entrata in vigore”
(cronologia)… vengono definiti principi. Bin e Pitruzzella nel loro
manuale preferiscono invece definirli criteri.
Ancora una volta, è essenziale comprendere il significato
delle classificazioni che vengono proposte e la loro capacità di orientare gli
interpreti del diritto. Per quanto riguarda i rapporti tra le fonti del
diritto, occorre essere consapevoli che esse fanno parte di un unico sistema.
Perché il sistema possa funzionare è necessario che ciascuna fonte sia
innanzitutto riconoscibile (con riguardo al soggetto-autorità che la ha
legittimamente prodotta, nel rispetto delle regole dell’ordinamento, della
Costituzione in primo luogo), che essa non valichi i limiti (formali e
sostanziali) che caratterizzano e giustificano la sua presenza nel sistema (il
quale non può prescindere dall’esigenza di armonia e quindi contiene anche le
regole che sono in grado di risolvere i conflitti –antinomie- tra le
fonti medesime). Quest’ultimo concetto potrebbe essere definito principio.
ll legislatore ordinario (Parlamento, Governo, Consigli regionali) deve
rispettare i limiti previsti dalla Costituzione: non può introdurre discipline
in contrasto con questa sia per quanto riguarda il merito-contenuto (non
può, ad esempio, discostarsi dagli obiettivi e dai principi fissati dalle norme
costituzionali), sia per quanto riguarda la forma (necessità di
rispettare per produrre le norme di rango primario i procedimenti previsti
dalla stessa Costituzione e dalle norme che l’attuano), sia per quanto riguarda
la ripartizione di competenze tra i soggetti sopra menzionati (che si possono
qualificare, presi insieme, come legislatore).
Anche la ripartizione di
competenze deriva dalla Costituzione (ad esempio l’art. 117 fissa l’ambito di
competenze tra legislatore statale e legislatore regionale). E’ poi necessario
ricordare che la Repubblica –in adesione agli artt. 10 e 11 della Costituzione-
ha ceduto quote della propria sovranità, anche per quanto concerne
l’esercizio della funzione legislativa, alla Comunità internazionale e, soprattutto,
all’Unione Europea il cui diritto, pertanto (nelle materie fissate dai trattati
che la hanno istituita), ha la forza di prevalere sulle fonti interne (cioè prodotte dal legislatore come
appena individuato).
|
15 - Domanda:Gentile professore,
non mi è chiaro come la commissione d'inchiesta riesca a
superare, in alcuni casi, l'ostacolo del segreto professionale e d'
ufficio, ed a volte anche il segreto di stato. La ringrazio per l' attenzione.
A. Z.
|
15
- Risposta:
Le
Commissioni di inchiesta procedono alle indagini e agli esami con gli stessi
poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria (art. 82 Cost.,
comma 2). Ciò significa che anche alle commissioni medesime, come ai giudici,
si applicano le norme vigenti che disciplinano il segreto professionale
(artt. 200, 256, 362 del codice di procedura penale; art. 662 del codice
penale; art. 249 del codice di procedura civile), il segreto d’ufficio
(art 201 del codice di procedura penale; e altre previsioni contenute in
numerose leggi speciali) e il segreto di stato (legge n. 801 del 1977:
si può leggere nella raccolta "L’Ordinamento
repubblicano").
Per
avere le idee ancora più chiare, può essere utile vedere le leggi o le
deliberazioni istitutive di commissioni di inchiesta. Ad esempio la deliberazione
12 ottobre 1995 del Senato relativa alla “Commissione
parlamentare d'inchiesta sul problema dei rifiuti e sulle attività poste in essere
in materia dalle Pubbliche Amministrazioni centrali e periferiche”:
www.editrice-edis.it/EstrattoSuppBollettino.nsf/0/710e60d032f8898ac12563960041aaac?OpenDocument
|
14 - Domanda: Vorrei cortesemente un quadro più completo, rispetto a
quelli offerti dai testi Caretti-De Siervo e Bin-Pitruzzella, sulla diversa
organizzazione della magistratura prima e dopo l'entrata in vigore della Carta
Costituzionale. In particolar modo non mi sono chiari i cambiamenti relativi
agli organi speciali di giurisdizione tributaria. Grazie.
Laura Negri
|
14
- Risposta:
Una buona sintesi (con puntuali riferimenti alla
giurisprudenza della Corte costituzionale) dell’ampio e complesso tema dei
giudici speciali (che è oggetto di studio anche di altri insegnamenti: diritto
amministrativo, diritto processuale civile, diritto processuale penale…) si può
trovare in questa pagina del sito del C.S.M.:
www.csm.it/pages/decisioni.html
Per quanto riguarda la “giustizia tributaria” è molto
chiara la seguente scheda:
www.finanze.it/commissionitributarie/
Se poi vogliamo esagerare e approfondire criticamente i problemi
relativi si può leggere:
www.avenuemedia.it/linkEDIT/linkRIVI/molini/mol01_01/12.html
www.infotel.it/infosistemi/jura/conforum/nuovopt/orga.htm
13 - Domanda:
mi è sorto un dubbio sul referendum del 15 giugno. Se non
mi sbaglio l'Ufficio Centrale per il referendum ha il compito di
"accorpare" in un unico referendum temi in qualche modo
"analoghi". Mi domando quale analogia intercorra tra l’articolo 18
relativo allo Statuto dei lavoratori e (mi scusi la barbara sintesi)
l'inquinamento elettromagnetico. Ho il dubbio di aver interpretato male io il testo.
Per accorpamento si intende inserire in un unico testo
referendario più argomenti simili?
Quelli del 15 sono dunque due referendum distinti, ma a cui si è chiamati
a votare lo stesso giorno?
Inoltre, l'astensionismo può essere paragonato a una posizione di dissenso
pari al voto contrario?
Con questo la ringrazio
(Simone Tempia)
|
13 - Risposta:
Per evitare pericolose confusioni e per poter disporre di
un lessico giuridico appropriato, è bene studiare attentamente le fonti. Nel
caso del referendum abrogativo il testo normativo di riferimento è la l. n. 352
del 1970.
L’art. 32, comma 6, di questa legge prevede che l’Ufficio
centrale possa concentrare le richieste di referendum che rivelino
uniformità o analogia di materia, mantenendo distinte le altre.
E’ evidente che i due referendum indetti per il 15 giugno
non hanno proprio nulla in comune. Si tratta, dunque, di due consultazioni che
si svolgono nella stessa tornata. Nella storia repubblicana dei referendum è del tutto normale lo svolgimento di più
referendum nella stessa data.
Gli elettori possono legittimamente partecipare o non
partecipare al voto anche di singoli referendum. Nel caso non intendano aderire
ad una consultazione, basta che non ritirino nel seggio la relativa scheda.
L’astensione dal voto pesa ai fini del raggiungimento del
quorum disposto dall’art.75, comma 4, della Costituzione. Se a un referendum
non partecipa almeno la metà più uno degli aventi diritto, la votazione è priva
di effetti.
L’astensione è un libero comportamento elettorale, al pari
del voto positivo o negativo sul quesito, che può assumere il significato di
dissenso nei confronti di una determinata iniziativa referendaria.
Per orientarsi meglio sulle vicende dei prossimi referendum e per
evitare sintesi troppo “barbare” si leggano le sentenze della Corte
Costituzionale che li hanno dichiarati ammissibili: n. 44
( www.giurcost.org/decisioni/2003/0044s-03.html
) e n. 45 ( www.giurcost.org/decisioni/2003/0045s-03.html
) del 2003.
12 - Domanda:
Vorrei dei chiarimenti
in riferimento al procedimento di approvazione e modifica degli "statuti
speciali" delle cinque regioni ad autonomia particolare. L'art 116 Cost.
dispone che questi sono approvati dal Parlamento seguendo la procedura di cui
all'art 138 Cost.: sono quindi leggi costituzionali.
L'art 138 Cost. prevede
che il procedimento si possa svolgere in due fasi: "obbligatoria" ed
"eventuale" (referendum approvativo).
Nel caso in cui nella
“fase obbligatoria” in Parlamento gli statuti speciali delle cinque
regioni venissero approvati o
modificati con la maggioranza assoluta, senza raggiungere quella dei 2/3, è
possibile il ricorso al referendum approvativo?
(Pasquale Petroni)
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12 - Risposta:
La legge costituzionale
n. 2 del 2001 ha modificato e semplificato il procedimento di revisione degli
statuti delle cinque regioni ad autonomia speciale. Tali modifiche sono state
inserite nei vigenti statuti delle regioni medesime. Si consideri, ad esempio,
il nuovo art. 41-ter della Statuto della Sicilia (RDL 15 maggio 1946, n.
455: scheda IX.1.a. dell’ Ordinamento
Repubblicano) che ora così dispone:
1. Per
le modificazioni del presente Statuto si applica il procedimento stabilito
dalla Costituzione per le leggi costituzionali.
2. L'iniziativa
appartiene anche all'Assemblea regionale.
3. I
progetti di modificazione del presente Statuto di iniziativa governativa o
parlamentare sono comunicati dal Governo della Repubblica all'Assemblea
regionale, che esprime il suo parere entro due mesi.
4. Le
modificazioni allo Statuto approvate non sono comunque sottoposte a referendum
nazionale
Per approfondire
l’argomento della differenziazione delle regioni ad autonomia speciale
dopo le recenti revisioni costituzionali si legga l’intervento di T.E. Frosini:
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti/riforma/frosini.html
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11 - Domanda: Vorrei cortesemente una
spiegazione in merito al significato della "legge" come atto e come
processo ("scambio politico"). La ringrazio.
(Paolo Rolandi)
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11 - Risposta: Il concetto viene da
lontano…
A lezione abbiamo
ricordato il valore del principio-metodo osservato in Inghilterra (a partire
già dal XIII e XIV secolo) No taxation without representation che, pur
nell’ambito di una stato assoluto, segnalava la sottrazione al sovrano del
potere indiscriminato di adottare decisioni che avessero un'efficacia generale
(e sfavorevole) nei confronti di una determinata sfera di consociati. Per poter
esercitare tranquillamente il potere (sovrano) di esazione, il re doveva di
fatto accettare compromessi con il Parlamento che condizionava il suo
assenso (o una non pregiudiziale opposizione…) all’accoglimento da parte del re
di puntuali richieste, soprattutto, in materia di libertà civili. Insomma: uno
“scambio politico” o, per usare un’altra espressione, una “negoziazione
legislativa”.
In questa prospettiva
il procedimento legislativo deve essere considerato non soltanto come
successione di fasi formali (disciplinate dalla Costituzione e dai regolamenti
parlamentari, che occorre conoscere…), ma anche come “processo” di
confronto (e, molto spesso, conflitto) tra interessi sociali ed economici che
trovano rappresentazione e mediazione in Parlamento. Si legga in proposito questa pagina, assai chiara, di Piero
Trupia, La democrazia degli
interessi (1999) :
http://fim.sfc.it/materiali/formazione_sistema_associativo/democratici/gov_complesso_cp5.htm
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10 -
Domanda:Una domanda che è… un
punto di vista sulla “legge Cirami”
Gent.mo prof. Bettinelli,
vorrei
porre alla Sua attenzione alcune brevi riflessioni che ho sviluppato sulla
assai discussa e contestata legge 7
novembre 2002, n. 248, cosiddetta "legge Cirami", e chiederLe un Suo
parere in merito.
L'inserimento del “legittimo sospetto”
tra i casi di possibile rimessione di un procedimento penale ad altro
giudice [art. 45 c.p.p.] ha sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale di
tale provvedimento legislativo con riferimento all' art 25, 1° c della
Costituzione.
Senza
entrare nel merito delle ragioni che hanno potuto spingere il Legislatore ad
approvare una simile modifica del c.p.p., limitatamente alla possibilità che
sia la parte imputata a inoltrare richiesta di rimessione per legittimo
sospetto, non ritengo che ci possano essere gli estremi per sollevare una
questione di legittimità costituzionale in questi termini (diverso è il caso
circa la possibilità che ad un simile strumento possa ricorrere il pubblico
ministero o il procuratore generale presso la Corte d'appello o ancora la Corte
di cassazione). Il 1° comma dell'art 25 Cost. dispone infatti una garanzia a
tutela della difesa dell'imputato. La ratio è quella di evitare
eventuali arbitrii che si potrebbero perpetrare con l'istituzione di un giudice
ad hoc diverso da quello che spetta per legge, secondo giurisdizione, al
momento del presunto compimento dell'illecito penale. In quest'ottica, in una
chiave di lettura volta a cogliere la doppia faccia della medaglia del dettato
costituzionale, il “legittimo sospetto”' rappresenterebbe paradossalmente una
ulteriore estensione di tale garanzia, se lo si pone come rimedio onde evitare
la costrizione dello svolgimento del processo davanti al giudice naturale in
presenza di inequivocabili segnali di faziosità di quest'ultimo. Un'applicazione
concreta ed "equilibrata" di questo istituto, al di fuori di un suo
qualsiasi uso strumentale e di parte, è poi un ottimo argomento di discussione
e a sua volta una ragionevole fonte di "legittimi sospetti".
Una
questione di legittimità costituzionale più nitida, a mio avviso, potrebbe
essere sollevata riguardo al comma 5 della legge oggetto di discussione nella
misura in cui questa fa salve le domande di rimessione già presentate al
momento della sua entrata in vigore, attribuendo un effetto retroattivo alla
portate delle novità introdotte teso a riconoscere a posteriori un diritto che
non poteva essere invocato in quanto non ancora esistente.
Entrando ora nella realtà concreta della prassi giudiziaria, con
riferimento all'applicazione della "legge Cirami" al "processo
Imi-Sir", che ne ha determinato la sospensione in attesa della pronuncia
della Corte di cassazione ex artt. 47 c.p.p., è possibile intravedere
nell'atteggiamento del collegio giudicante della Procura della repubblica di
Milano che dispone l'ordinanza di sospensione del processo senza troppe
esitazioni e, in particolar modo, senza sollevare questioni di legittimità
costituzionale di alcuna specie sulle norme da applicare, una sorta di timore
che, se una qualche questione di legittimità fosse stata posta all'attenzione
della Corte costituzionale e questa l'avesse respinta, si sarebbe guardato ad
una simile condotta come ad un segnale di inequivocabile faziosità alla luce
delle roventi polemiche e delle autorevoli prese di posizione contro il disegno
di legge che, anche e soprattutto all'interno della magistratura e dello stesso
"processo Imi-Sir", hanno accompagnato la sua ancor troppo vicina
fase di approvazione, e delle persone degli imputati?
(Giovanni Papandrea)
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Risposta: Sul tema abbiamo avuto l’occasione di ascoltare,
in un’apposita lezione, le autorevoli e
appassionate valutazioni del Cons. Francesco Saverio Borrelli.
Navigando per internet, si può leggere anche
l’opinione del Prof. Vittorio Grevi, Ordinario di Procedura penale nella nostra
Facoltà. Volentieri gli cedo “la parola” per maggiore competenza e perché
condivido pienamente il suo ragionamento.
www.antoniodipietro.org/listadipietro/rassegna_stampa/Il_Corriere/2002/Corriere_02_09_24.htm
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