Gli elettori, "prede" attive o passive.
Soprattutto nello
spregiudicato lessico politologico americano gli elettori sono considerati
"prede" da cacciare e catturare. I cacciatori sono i candidati e i
gruppi politici la cui sorte dipende dalle quote di consenso (i voti) che riescono
ad ottenere ("conquistare"). Le armi sono quelle della convinzione e
della persuasione: dimostrare alle prede di avere un buon programma, una bella
storia che dimostri capacità di perseguire obiettivi (politici), una
personalità e un orgoglio difendibili; ma, soprattutto, di essere gli unici in
grado di fronteggiare con maggiori probabilità di successo l'antagonista
più temuto, cioè l'avversario dello schieramento contrapposto che, se eletto,
contribuirebbe all'affermazione di altri obiettivi e alla salvaguardia
di altri interessi.
Si vuole con ciò
sottolineare che una qualità decisiva della gara elettorale in un sistema
maggioritario fondato (in prevalenza) su collegi uninominali, è la capacità dei
candidati di dimostrare la propria non marginale forza rappresentativa
(di opinione pubblica, di coesione o coalizione politica e sociale), tale da
rendere non improbabile l'elezione contro il competitore altro
che si individua come l'avversario da battere.
Naturalmente, l'efficacia di
questa risorsa dipende dall'ambiente culturale e sociale ove si svolge la gara,
è condizionata da fattori storici e psicologici. Risente, in altri termini,
della qualità degli elettori, della loro capacità e volontà di percepire e
accettare il funzionamento di una competizione elettorale di tipo
maggioritario.
E' proprio questa la
principale incognita delle elezioni del [27-28 marzo]. Il mutamento delle
regole ha automaticamente cambiato la mentalità e i riflessi dei votanti dopo
quasi mezzo secolo di proporzionale? I cittadini saranno subito in grado da
passare da un atteggiamento di apparente massimalismo a un atteggiamento di
prudente relativismo (se non minimalismo) nella cessione del loro consenso?
Come assolveranno al loro ruolo di preda?
Questi interrogativi sono
tanto più pressanti, in quanto le nuove leggi elettorali (in particolare
quella per la Camera dei deputati) offrono agli elettori opportunità
diversificate e complesse: accanto ad elementi di novità (la personalizzazione
della gara nei collegi uninominali) permangono elementi di continuità (il
confronto esclusivo tra gruppi-forze organizzate nei collegi circoscrizionali,
secondo i tradizionali criteri proporzionalistici). Come vedremo, descrivendo
la tecnica dei nuovi sistemi elettorali, l'intreccio tra i due diversi ambiti
della competizione è notevole, ma l'elettore può essere indotto a non
considerare una tale complessità e a farsi trascinare dalle antiche abitudini o
a farsi suggestionare dalla facilità delle modalità di espressione del voto.
L'elettore avrà a
disposizione tre schede molto semplici: due per la Camera e una per il Senato.
Nel primo caso, l'elettore
manifesterà la sua scelta sulla prima scheda tracciando un segno sul
nome di uno dei candidati proposti, accanto al quale figureranno
necessariamente i simboli di una più liste (fino al massimo di cinque) collegate,
che l'elettore medesimo ritroverà sulla seconda scheda. E' probabile
che tutti gli elettori siano perfettamente edotti delle facoltà di cui
fruiscono e dell'autonomia formale dell'un voto rispetto all'altro.
Con la prima scheda essi
sono chiamati ad esprimere la preferenza nei confronti di un solo candidato che
verrà eletto se otterrà un numero di consensi superiore a quello degli altri
concorrenti. Con la seconda scheda dovranno scegliere una lista-partito che
otterrà seggi -in palio ce ne sono solo 155 su 630- in proporzione perequata
(vedremo più avanti che cosa significa la parola) ai voti ottenuti in ambito
nazionale, a patto di ottenere un risultato non inferiore al 4 per cento dei
voti espressi nel Paese da tutti gli elettori. Per la copertura fisica dei
posti sarà determinante la posizione (l'ordine di lista) che i candidati
hanno nelle liste (assai corte: al massimo 4 candidati) che ottengono
seggi, nonché la quota di consenso vantato dalle liste medesime nelle singole
circoscrizioni (provinciali o pluriprovinciali). Con il secondo voto -a
differenza del primo- gli elettori esprimono un'opzione integralmente partitica,
nel senso che aderiscono anche alla graduatoria dei candidati predisposta da
ciascun partito. Gli elettori, infatti, non dispongono più del voto di
preferenza, già previsto dalla vecchia legge proporzionale, ma soltanto del voto
di lista: devono semplicemente tracciare un segno sul simbolo della lista.
Come reagiranno dunque gli
elettori dinanzi a questo voto dissociato anche dal punto di visto psicologico?
In che misura l'attrazione per il partito e per la residua formula proporzionalistica
influenzerà il comportamento di voto con la prima scheda che, viceversa, propone
un confronto tra individualità? E come sarà inteso il "collegamento"
obbligatorio per legge tra candidato e uno o, più frequentemente, molteplici
partiti-liste? Fino a che punto lo spirito di coalizione riuscirà a imporsi
all'attenzione e al ragionamento dell'elettore, se questi sarà in grado di
comprendere il nesso tra i due voti formalmente "indipendenti",
eppure sostanzialmente interferenti?
Inevitabilmente
riscontreremo nelle imminenti elezioni la presenza di due categorie di
elettori: l'elettore istintivo e l'elettore razionale.
L'elettore istintivo,
ancora affetto dalla mentalità proporzionalistica, potrà rivelarsi in vari
modi. Ad esempio, di fronte a un numero di candidati superiore a due nella
prima scheda non si porrà il problema di chi è meglio che perda,
cioè del candidato più lontano dai suoi interessi o dalle sue posizioni
politiche; e allora darà il voto al "migliore" secondo il suo punto
di vista, pur se con scarse probabilità di riuscita. Oppure, pur dovendo scegliere
tra due soli candidati nel collegio uninominale, ma entrambi associati a
partiti nei quali l'elettore non si riconosce e ai quali non ritiene di dare il
proprio voto con la seconda scheda, egli potrà astenersi, paralizzato da una
rigorosa e esclusiva logica di appartenenza.
Viceversa, l'elettore
razionale saprà cogliere il rapporto tra candidato, forze politiche (al
plurale) e schieramento e non avrà problemi di coerenza (alla vecchia maniera),
ma cercherà di massimizzare le opportunità che la doppia scheda gli offre.
La prevalenza degli elettori
razionali su quelli istintivi dipenderà anche dalla capacità di convinzione
degli attori della gara elettorale -candidati, forze politiche- e
dalla tenuta degli schieramenti anche nel corso della campagna elettorale.
Certo è che, se avranno il sopravvento gli elettori istintivi, al mutamento
delle nuove regole elettorali non corrisponderà alcun mutamento nel sistema
politico. La frantumazione e dissipazione partitica caratterizzerà anche il
primo Parlamento della Seconda Repubblica.
Un non irrilevante,
insidioso incentivo alla sopravvivenza dell'elettore istintivo viene dal
sistema maggioritario -anch'esso a formula promiscua- escogitato per il Senato.
Più semplice nella sua configurazione tecnica, è, in effetti, potenzialmente
più regressivo rispetto alla prospettiva-necessità di schieramento alla quale
induce la legge elettorale per la Camera.
Anche per il Senato gran
parte dei seggi -232 su 315- è assegnata in collegi uninominali attraverso il
metodo maggioritario secco vigente per la Camera (vince chi ottiene più voti).
Ma, in questo caso, per l'elettore che dispone di un'unica scheda (equivalente
nella sua configurazione alla prima per la Camera, anche se appare più leggera
perché accanto ad ogni candidato è collocato un solo simbolo) la tentazione di
attribuire un voto non alternativo può essere ancora più forte. Infatti
i candidati normalmente sono, per così dire, inquadrati in "gruppi
di candidature" (così li definisce la legge vigente), contrassegnate dallo
stesso simbolo, che corrispondono a singoli partiti (od anche a limitate
coalizioni di partiti). I quali sono meno stimolati rispetto alla Camera a
impegnarsi in una strategia di schieramento, perché i "gruppi di
candidature" concorrono in quanto tali alla ripartizione in ciascuna
regione di pur pochissimi seggi da distribuirsi in ragione proporzionale tra
i non eletti nei collegi uninominali. In questa competizione complementare
risultano avvantaggiati (per i meccanismi che si descriveranno) i gruppi che
-avendo conseguito un numero congruo di suffragi- hanno ottenuto meno eletti
nei collegi uninominali. La conseguenza è chiara: l'elettore può ritenere che
un voto di appartenenza dato a un candidato pur con scarse probabilità di
successo nel collegio uninominale possa comunque essere utile perché
"porta acqua" al gruppo ai fini dell'aggiudicazione dei (pochi) seggi
in quota proporzionale; cosicché lo stesso candidato potrebbe risultare eletto
nella circoscrizione regionale. Nella maggior parte delle situazioni un tale
calcolo potrà risultare effimero, ma l'elettore istintivo, reduce
della proporzionale, non lo sa.
I rimedi a questa possibile
divaricazione e imprevedibilità di comportamenti elettorali sono affidati, in
ultima analisi, alla consapevolezza degli attori, alla loro effettiva volontà e
capacità di precostituire e costituire schieramenti, rivolti all'obiettivo
strategico di conseguire la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento per
dare un governo programmatico al Paese. Se prevale questa esigenza, la non
compiuta omogeneità tra i due sistemi elettorali, per la Camera e per il
Senato, può essere superata nella prassi. Si tratta, forse, per ciascuna forza
politica che si ritrovi attorno a un "tavolo comune" di accettare
ulteriori autoriduzioni e di scommettere sull'elettore razionale: una
"preda" attiva, non passiva, che nel momento in cui consente
alla cattura impone al "cacciatore" di cambiare fisionomia, quantomeno
di essere meno primitivo.