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Estratto da FARSI ELEGGERE / Edizioni Il Sole – 24 ore – 1994

Introduzione di Ernesto Bettinelli

PARTE SECONDA

 

 Gli elettori, "prede" attive o passive.

 

Soprattutto nello spregiudicato lessico politologico americano gli elettori sono considerati "prede" da cacciare e catturare. I cacciatori sono i candidati e i gruppi politici la cui sorte dipende dalle quote di consenso (i voti) che riescono ad ottenere ("conquistare"). Le armi sono quelle della convinzione e della persuasione: dimostrare alle prede di avere un buon programma, una bella storia che dimostri capacità di perseguire obiettivi (politici), una personalità e un orgoglio difendibili; ma, soprattutto, di essere gli unici in grado di fronteggiare con maggiori probabilità di successo l'antagonista più temuto, cioè l'avversario dello schieramento contrapposto che, se eletto, contribuirebbe all'affermazione di altri obiettivi e alla salvaguardia di altri interessi.

Si vuole con ciò sottolineare che una qualità decisiva della gara elettorale in un sistema maggioritario fondato (in prevalenza) su collegi uninominali, è la capacità dei candidati di dimostrare la propria non marginale forza rappresentativa (di opinione pubblica, di coesione o coalizione politica e sociale), tale da rendere non improbabile l'elezione contro il competitore altro che si individua come l'avversario da battere.

Naturalmente, l'efficacia di questa risorsa dipende dall'ambiente culturale e sociale ove si svolge la gara, è condizionata da fattori storici e psicologici. Risente, in altri termini, della qualità degli elettori, della loro capacità e volontà di percepire e accettare il funzionamento di una competizione elettorale di tipo maggioritario.

E' proprio questa la principale incognita delle elezioni del [27-28 marzo]. Il mutamento delle regole ha automaticamente cambiato la mentalità e i riflessi dei votanti dopo quasi mezzo secolo di proporzionale? I cittadini saranno subito in grado da passare da un atteggiamento di apparente massimalismo a un atteggiamento di prudente relativismo (se non minimalismo) nella cessione del loro consenso? Come assolveranno al loro ruolo di preda?

Questi interrogativi sono tanto più pressanti, in quanto le nuove leggi elettorali (in particolare quella per la Camera dei deputati) offrono agli elettori opportunità diversificate e complesse: accanto ad elementi di novità (la personalizzazione della gara nei collegi uninominali) permangono elementi di continuità (il confronto esclusivo tra gruppi-forze organizzate nei collegi circoscrizionali, secondo i tradizionali criteri proporzionalistici). Come vedremo, descrivendo la tecnica dei nuovi sistemi elettorali, l'intreccio tra i due diversi ambiti della competizione è notevole, ma l'elettore può essere indotto a non considerare una tale complessità e a farsi trascinare dalle antiche abitudini o a farsi suggestionare dalla facilità delle modalità di espressione del voto.

L'elettore avrà a disposizione tre schede molto semplici: due per la Camera e una per il Senato.

Nel primo caso, l'elettore manifesterà la sua scelta sulla prima scheda tracciando un segno sul nome di uno dei candidati proposti, accanto al quale figureranno necessariamente i simboli di una più liste (fino al massimo di cinque) collegate, che l'elettore medesimo ritroverà sulla seconda scheda. E' probabile che tutti gli elettori siano perfettamente edotti delle facoltà di cui fruiscono e dell'autonomia formale dell'un voto rispetto all'altro.

Con la prima scheda essi sono chiamati ad esprimere la preferenza nei confronti di un solo candidato che verrà eletto se otterrà un numero di consensi superiore a quello degli altri concorrenti. Con la seconda scheda dovranno scegliere una lista-partito che otterrà seggi -in palio ce ne sono solo 155 su 630- in proporzione perequata (vedremo più avanti che cosa significa la parola) ai voti ottenuti in ambito nazionale, a patto di ottenere un risultato non inferiore al 4 per cento dei voti espressi nel Paese da tutti gli elettori. Per la copertura fisica dei posti sarà determinante la posizione (l'ordine di lista) che i candidati hanno nelle liste (assai corte: al massimo 4 candidati) che ottengono seggi, nonché la quota di consenso vantato dalle liste medesime nelle singole circoscrizioni (provinciali o pluriprovinciali). Con il secondo voto -a differenza del primo- gli elettori esprimono un'opzione integralmente partitica, nel senso che aderiscono anche alla graduatoria dei candidati predisposta da ciascun partito. Gli elettori, infatti, non dispongono più del voto di preferenza, già previsto dalla vecchia legge proporzionale, ma soltanto del voto di lista: devono semplicemente tracciare un segno sul simbolo della lista.

Come reagiranno dunque gli elettori dinanzi a questo voto dissociato anche dal punto di visto psicologico? In che misura l'attrazione per il partito e per la residua formula proporzionalistica influenzerà il comportamento di voto con la prima scheda che, viceversa, propone un confronto tra individualità? E come sarà inteso il "collegamento" obbligatorio per legge tra candidato e uno o, più frequentemente, molteplici partiti-liste? Fino a che punto lo spirito di coalizione riuscirà a imporsi all'attenzione e al ragionamento dell'elettore, se questi sarà in grado di comprendere il nesso tra i due voti formalmente "indipendenti", eppure sostanzialmente interferenti?

Inevitabilmente riscontreremo nelle imminenti elezioni la presenza di due categorie di elettori: l'elettore istintivo e l'elettore razionale.

L'elettore istintivo, ancora affetto dalla mentalità proporzionalistica, potrà rivelarsi in vari modi. Ad esempio, di fronte a un numero di candidati superiore a due nella prima scheda non si porrà il problema di chi è meglio che perda, cioè del candidato più lontano dai suoi interessi o dalle sue posizioni politiche; e allora darà il voto al "migliore" secondo il suo punto di vista, pur se con scarse probabilità di riuscita. Oppure, pur dovendo scegliere tra due soli candidati nel collegio uninominale, ma entrambi associati a partiti nei quali l'elettore non si riconosce e ai quali non ritiene di dare il proprio voto con la seconda scheda, egli potrà astenersi, paralizzato da una rigorosa e esclusiva logica di appartenenza.

Viceversa, l'elettore razionale saprà cogliere il rapporto tra candidato, forze politiche (al plurale) e schieramento e non avrà problemi di coerenza (alla vecchia maniera), ma cercherà di massimizzare le opportunità che la doppia scheda gli offre.

La prevalenza degli elettori razionali su quelli istintivi dipenderà anche dalla capacità di convinzione degli attori della gara elettorale -candidati, forze politiche- e dalla tenuta degli schieramenti anche nel corso della campagna elettorale. Certo è che, se avranno il sopravvento gli elettori istintivi, al mutamento delle nuove regole elettorali non corrisponderà alcun mutamento nel sistema politico. La frantumazione e dissipazione partitica caratterizzerà anche il primo Parlamento della Seconda Repubblica.

Un non irrilevante, insidioso incentivo alla sopravvivenza dell'elettore istintivo viene dal sistema maggioritario -anch'esso a formula promiscua- escogitato per il Senato. Più semplice nella sua configurazione tecnica, è, in effetti, potenzialmente più regressivo rispetto alla prospettiva-necessità di schieramento alla quale induce la legge elettorale per la Camera.

Anche per il Senato gran parte dei seggi -232 su 315- è assegnata in collegi uninominali attraverso il metodo maggioritario secco vigente per la Camera (vince chi ottiene più voti). Ma, in questo caso, per l'elettore che dispone di un'unica scheda (equivalente nella sua configurazione alla prima per la Camera, anche se appare più leggera perché accanto ad ogni candidato è collocato un solo simbolo) la tentazione di attribuire un voto non alternativo può essere ancora più forte. Infatti i candidati normalmente sono, per così dire, inquadrati in "gruppi di candidature" (così li definisce la legge vigente), contrassegnate dallo stesso simbolo, che corrispondono a singoli partiti (od anche a limitate coalizioni di partiti). I quali sono meno stimolati rispetto alla Camera a impegnarsi in una strategia di schieramento, perché i "gruppi di candidature" concorrono in quanto tali alla ripartizione in ciascuna regione di pur pochissimi seggi da distribuirsi in ragione proporzionale tra i non eletti nei collegi uninominali. In questa competizione complementare risultano avvantaggiati (per i meccanismi che si descriveranno) i gruppi che -avendo conseguito un numero congruo di suffragi- hanno ottenuto meno eletti nei collegi uninominali. La conseguenza è chiara: l'elettore può ritenere che un voto di appartenenza dato a un candidato pur con scarse probabilità di successo nel collegio uninominale possa comunque essere utile perché "porta acqua" al gruppo ai fini dell'aggiudicazione dei (pochi) seggi in quota proporzionale; cosicché lo stesso candidato potrebbe risultare eletto nella circoscrizione regionale. Nella maggior parte delle situazioni un tale calcolo potrà risultare effimero, ma l'elettore istintivo, reduce della proporzionale, non lo sa.

I rimedi a questa possibile divaricazione e imprevedibilità di comportamenti elettorali sono affidati, in ultima analisi, alla consapevolezza degli attori, alla loro effettiva volontà e capacità di precostituire e costituire schieramenti, rivolti all'obiettivo strategico di conseguire la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento per dare un governo programmatico al Paese. Se prevale questa esigenza, la non compiuta omogeneità tra i due sistemi elettorali, per la Camera e per il Senato, può essere superata nella prassi. Si tratta, forse, per ciascuna forza politica che si ritrovi attorno a un "tavolo comune" di accettare ulteriori au­toriduzioni e di scommettere sull'elettore razionale: una "preda" attiva, non passiva, che nel momento in cui consente alla cattura impone al "cacciatore" di cambiare fisionomia, quantomeno di essere meno primitivo.

 

  

 

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