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Estratto da FARSI ELEGGERE / Edizioni Il Sole – 24 ore – 1994

Introduzione di Ernesto Bettinelli

PARTE TERZA

 

       Gli attori individuali della competizione.

 

L'indubbia personalizzazione delle competizioni elettorali introdotta dalla recente legislazione potrebbe generare l'errata impressione che i singoli candidati si siano completamente liberati dai guinzagli dei partiti o dei gruppi politici organizzati o che possano correre in autonomia rispetto ai medesimi.

Le cose non stanno proprio così, anche se la legge per la formazione del Senato, in verità, considera l'ipotesi del candidato slegato, che per ora, però, sembra rappresentare un fenomeno del tutto marginale.

E' in ogni caso vero che le nuove regole hanno provocato l'esaltazione della figura del candidato, come non poteva accadere nel vigore del sistema proporzionale a scrutinio di lista. Allora ciascuna forza politica si offriva agli elettori della Camera dei deputati con una pluralità di volti (con ampio spazio per la mediocrità) ai quali, non di rado, corrispondeva una molteplicità di programmi e di prospettive politiche; cosicché i partiti potevano con una certa disinvoltura cacciare consensi a 360 gradi, avvalendosi dei rispettivi candidati come terminali sapientemente diffusi presso le varie aree di interessi sensibili (politici, sociali, corporativi, clientelari).

Sarebbe quasi ovvio ritenere che ora i collegi uninominali costringano i partiti a rinunciare al polimorfismo e alla vocazione all'ambiguità per inaugurare una nuova stagione di univocità, coerenza e trasparenza attraverso la presentazione di buoni candidati capaci di esprimere con chiarezza e determinazione le posizioni e i programmi delle formazioni politiche di appartenenza. Ma -come si è già accennato- il sistema maggioritario con la sua dinamica verso la polarizzazione o, comunque, con la spinta alla costituzione di schieramenti il più possibile ampi per non ritrovarsi irrimediabilmente sconfitti, rende il gioco più complesso. E più complesso (o meno lineare) si fa il rapporto tra candidati e partiti.

Infatti, il compromesso su cui si fonda lo schieramento (o polo) richiede alle forze contraenti innanzitutto l'individuazione nel maggior numero possibile di collegi uninominali di candidati comuni, appunto per evitare fatali dispersioni di voti e per avere maggiori probabilità di sconfiggere i candidati dei campi avversi.

Se lo schieramento si costituisce sulle basi di una pura (ed elementare) tattica aritmetica, facilmente si perverrà a un accordo passivo per una calibrata distribuzione dei collegi tra le diverse formazioni secondo la logica delle "riserve di caccia": dove si presenta il partito X con il proprio candidato X-1 non concorrono i candidati delle altre formazioni che hanno sottoscritto l'accordo. L'aspettativa (o la semplice speranza) è che i potenziali elettori (razionali) delle forze rinunciatarie onorino il "contratto di scambio" e indirizzino quasi spontaneamente il loro voto su tale candidato.

Se lo schieramento riesce a costituirsi su basi più solide (strategiche), l'accordo avrà una valenza positiva: punterà, cioè, alla ricerca di candidati effettivamente comuni, "di cartello", prescelti non all'interno delle singole forze politiche, ma preferibilmente all'esterno: tra esponenti della società civile, tra personalità di un certo richiamo o notorietà che si riconoscano nello schieramento, senza peraltro rivelare la loro adesione o aperta propensione per l'uno piuttosto che per l'altro partito. Proprio considerando questa ipotesi di più largo respiro si faceva sopra riferimento alla disponibilità all'autoriduzione delle diverse forze che decidono di partecipare allo stesso tavolo, quale opportunità che aumenta le chances di successo.

Una simile soluzione, peraltro, può dare luogo a esiti non felici quando lo schieramento non matura, più virtuosamente, in coalizione con prospettive di governo. I candidati comuni, di compromesso, possono allora essere individuati soprattutto tra personalità di pro­filo tendenzialmente neutro, con il rischio di indebolire nella competizione la risorsa pro­grammatica, che pur non dovrebbe essere troppo trascurata in un confronto che si svolge secondo regole maggioritarie e che ha come posta finale il conseguimento della maggioranza parlamentare, quantomeno in grado di non consentire ai campi avversi di realizzare le loro aspettative di governo.

 

       Il profilo dei candidati nei collegi uninominali e le variegate formule di presentazione.

 

Lo scenario appena delineato trova nella legge elettorale per la Camera dei deputati precisi riferimenti formali e l'offerta di variegate formule di presentazione dei candidati, attraverso le quali si svela la strategia dei partiti e dei supergruppi (altrimenti definiti: alleanze, poli, schieramenti), che rimangono sempre i protagonisti centrali e insostituibili: veri e propri motori della competizione, anche quando sembrano cedere spazio alle energie e agli esponenti (i cosiddetti volti nuovi) della società civile.

Infatti, tra candidati nei collegi uninominali (dove il voto è espresso con la prima scheda) e formazioni politiche che concorrono con proprie liste rigide nelle circoscrizioni (dove il voto è espresso con la seconda scheda), che comprendono i collegi uninominali medesimi, si instaura un legame necessario: una serie di vincoli non solo procedurali, ma anche sostanziali diretti a mettere ben in chiaro da che parte sta ciascun candidato, con quali forze corre e, in prospettiva, per il successo di quale schieramento.

Per quanto concerne i vincoli procedurali, la legge stabilisce che le candidature in ciascun collegio uninominale nella medesima circoscrizione siano depositate da un rappresentante del partito o del gruppo politico organizzato cui esse sono associate. Sul piano pratico e dell'immagine ciò significa che il nome del candidato deve essere abbinato almeno a un simbolo (contrassegno) tra quelli depositati -nell'imminenza dell'apertura della campagna elettorale- presso il Ministero dell'Interno dai responsabili dei partiti, gruppi o raggruppamenti che intendono partecipare alla competizione. Proprio la varietà o meno dei simboli (in ogni caso non superiori a cinque) che accompagnano e contraddistinguono una candidatura identifica la sua origine ed, eventualmente, il tipo e l'intensità di rapporto tra diverse formazioni politiche.

Se una candidatura è "coperta" dall'ombrello monocolore di un solo simbolo, sarà chiaro che essa appartiene a un partito (candidatura militante) e per valutare se tale partito ha stipulato accordi (tattici) di schieramento con altri, basterà accertare quali partiti hanno rinunciato a partecipare alla gara in quel collegio uninominale. Se una candidatura è coperta da un ombrello variopinto (più simboli di partito accanto al nome), sarà altrettanto chiaro che essa è manifestazione di una convergenza esplicita tra le forze cui appartengono i simboli medesimi. Tale accordo (cartello elettorale), peraltro, può essere il frutto di opzioni differenziate. Può concretarsi semplicemente nel sostegno comune a una candidatura propria di una determinata formazione (sostegno che, facilmente, questa restituirà in altri collegi). Oppure -come si segnalava sopra- l'accordo si può tradurre nell'adesione comune a una candidatura indipendente o esterna, che cioè si identifichi soprattutto con lo schieramento e con le sue prospettive più generali (positive: di governo; o negative: per contrastare i candidati di altre alleanze o poli). L'elemento formale che consente all'elettore attento (e razionale) di percepire la natura di candidature siffatte è il particolare simbolo -tra altri tradizionali- che le contraddistingue. E cioè un simbolo "contenitore" (impostato su emblemi o motti che richiamano le opinioni diffuse nella società civile) che le formazioni alleate hanno appositamente prodotto e depositato -a cura di rappresentanti non di partito, ma di cartello: il supergruppo- per situazioni di questo genere. Un simbolo che gli elettori non ritroveranno sulla seconda scheda dove si votano le liste di partito identificate dai rispettivi contrassegni ufficiali, le quali concorrono per l'assegnazione dei seggi da ripartire in ragione proporzionale.

I candidati nei collegi uninominali sono obbligatoriamente abbinati a uno o più (fino a un massimo di 5) contrassegni non soltanto per rivelare agli elettori la propria fisionomia politica (di partito o di schieramento), ma anche in funzione del singolare intreccio che la legge per la formazione della Camera dei deputati ha stabilito tra competizione nei 475 collegi uninominali e competizione nelle 26 circoscrizioni per lo più pluriprovinciali o re­gionali entro cui essi sono distribuiti.

Infatti, il cosiddetto "collegamento" che ciascun candidato con atto formale deve dichiarare di voler effettuare con una o più liste (e in accordo, evidentemente, con i rappresentanti delle stesse) è previsto anche ai fini dello scrutinio in ambito nazionale e circoscrizionale: per ragioni di computo e riduzione dei voti ottenuti dalle liste collegate. I dettagli si illustreranno più avanti; qui è sufficiente anticipare in modo approssimativo che l'elezione di un candidato nel collegio uninominale comporta una penalizzazione (appunto in termini di riduzione di voti) per la lista o le liste con le quali il candidato vincitore si è collegato nella circoscrizione.

E, per meglio sottolineare come i singoli candidati nei collegi uninominali della stessa circoscrizione siano necessariamente tenuti a una manifestazione di coerenza politica complessiva e collettiva, occorre precisare che i collegamenti con più liste dichiarati dai vari candidati, e da queste accettati, devono essere i medesimi in tutti i collegi in cui si suddivide la circoscrizione. Si comprende allora perché debba essere lo stesso rappresentante di partito o di gruppo a presentare insieme tutte le candidature per i collegi uninominali della circoscrizione.

L'interferenza dei risultati tra gara in ambito di collegio uninominale ad esito maggioritario puro e gara in ambito circoscrizionale (e al tempo stesso nazionale), dove per lo scrutino si applica un metodo di ripartizione proporzionale, mette in luce un'altra questione che inevitabilmente pesa negli accordi tattici tra le forze del medesimo campo: come distribuire i costi elettorali del successo dei candidati comuni nei collegi uninominali, tanto più se tali candidati sono effettivamente indipendenti (candidati di schieramento). Secondo una logica meramente matematica, un collegamento con il maggior numero di liste possibile dello schieramento consentirà di distribuire i costi pro quota (in proporzione, cioè, ai suffragi ottenuti nella circoscrizione da ciascuna lista collegata). Ma, d'altra parte, in un determinato collegio l'eccessivo affollamento di simboli accanto al nome di un candidato indipendente (di schieramento) potrebbe rappresentare una controindicazione ai fini della sua capacità di presa sull'elettorato. Una soluzione da considerare sarà allora quella della concertazione complessiva dei collegamenti, valutando con attenzione, realismo e prudenza le singole si­tuazioni di ciascuna circoscrizione. Il "polo" che riuscisse a pervenire ad accordi indovinati di questa natura (ancora una volta si tratta per ciascuna formazione di manifestare una sa­piente disponibilità all'autoriduzione) rivelerebbe la sua forza, la sua capacità di aggregazione; dimostrerebbe in sostanza di avere una strategia. E, probabilmente, porrebbe una buona ipoteca sul successo finale.

 

Per il Senato la relativa legge elettorale è certamente meno complessa (si vota con una sola scheda); ma essa a una prima lettura come già si è accennato, sembra offrire alle forze politiche minori opportunità di impostare quelle sofisticate strategie e combinazioni di utili aggregazioni quasi inevitabili per la Camera. Anzi, a prima vista, esse sembrerebbero addirittura disincentivate.

L'aspetto forse più interessante della legge è l'ipotesi della partecipazione alla competizione (nei 232 collegi uninominali, distribuiti nelle 20 regioni in rapporto alla consistenza demografica di ciascuna) di candidati non legati ai partiti neppure sotto il profilo organizzativo (cioè, senza necessità per i candidati di essere formalmente presentati da rappresentanti ufficiali dei partiti medesimi).

Le personalità indipendenti possono, in effetti, correre per proprio conto nei collegi in cui ritengono di godere di una sufficiente popolarità. Occorre però avvertire che la legge in un simile caso considera le candidature indipendenti quasi alla stessa stregua dei soggetti politici collettivi; nel senso che impone alle personalità indipendenti che intendano scendere nell'arena elettorale senza "guinzaglio" l'onere di un'organizzazione che certamente non agevola la loro partecipazione; a meno che queste candidature non siano espressione di efficienti e territorialmente ben insediati movimenti politici locali. Anche per i singoli candidati locali è previsto l'obbligo di depositare a Roma, presso il Ministero dell'Interno, il contrassegno con cui dichiarano di volere contraddistinguere la proprio candidatura. In­somma, non è consentito proporsi agli elettori semplicemente con nome e cognome: occorre sempre un simbolo che evoca l'esistenza di un'organizzazione, di un movimento anche se solo d'opinione. Del resto, anche le candidature indipendenti locali necessitano, per essere validamente presentate, del sostegno di un numero minimo di elettori sottoscrittori, come si vedrà più avanti.

Da quanto fin qui esposto emerge come l'ipotesi di gran lunga più frequente sia anche per il Senato la presentazione dei candidati nei collegi uninominali, compresi in ciascuna regione, ad opera dei partiti o dei gruppi politici organizzati con il rispettivo contrassegno. E si deve subito precisare che tale presentazione, in ciascuna regione, sarà normalmente effettuata sotto forma di cordata tra vari candidati che aderiscono alla medesima formazione, cioè per "gruppi"; i quali devono comprendere un numero di candidati non inferiore a tre e non superiore al numero dei collegi uninominali della regione medesima. Infatti assai difficilmente i partiti -se non costituiscono appositi accordi di cartello- si avvarranno della facoltà della presentazione per singoli candidati (cioè collegio per collegio), per le ragioni tattiche che si andranno ad esporre.

Per comprendere il senso di questa varietà di opzioni occorre considerare la doppia valenza della competizione elettorale che sussiste anche per il Senato. La gara per l'aggiudicazione dei seggi si svolge infatti in un duplice ambito, seppure non immediatamente percepibile: nei collegi uninominali (è eletto il candidato che ottiene il maggior numero dei voti) e nella circoscrizione regionale (i pochi seggi in palio sono assegnati ai partiti-gruppi in rapporto proporzionale ai voti conseguiti nella regione medesima). La differenza più vistosa rispetto alla tecnica adottata per la Camera è che l'elettore ha a disposizione una sola scheda e un solo voto per determinare il risultato sia in sede di collegio uninominale, sia in sede regionale. Egli, se non riesce a eleggere nel collegio il candidato prescelto, contribuisce comunque ad incrementare i suffragi del gruppo -cui il candidato appartiene-, indispensabili per l'aggiudicazione dei seggi da ripartire con metodo proporzionale. Cosicché può accadere che -se il consenso al gruppo è sufficiente- il candidato pur perdente nel collegio uninominale può essere recuperato nella dimensione regionale ed essere pertanto eletto.

Naturalmente la doppia valenza del voto non sussiste per l'elettore che esprima la sua opzione nei confronti di un candidato non legato o presentato in quanto singolo da un partito (candidatura individuale, nel gergo giuridico). In questo caso un tale voto è ininfluente ai fini della gara di gruppo in ambito regionale. Semplificando, si potrebbe dire, che l'elettore, attribuendo la preferenza a un candidato perdente e che non può partecipare al riparto proporzionale dei seggi, ha utilizzato il suo voto per metà.

Il congegno, succintamente esposto e che verrà poi più approfonditamente descritto, pone ai partiti problemi di tattica e strategia elettorale di non facile soluzione. Indubbiamente il primo impulso sarà quello di giocare al ribasso, ma sul sicuro; e, cioè, di puntare su candidature militanti (raggruppate) che, se non vincono nei collegi uninominali, portano tuttavia al gruppo voti decisivi per conseguire qualche seggio ripartito in ragione proporzionale. Rispetto ai collegi uninominali per l'elezione della Camera, quelli relativi al Senato sarebbero pertanto più affollati di candidati. Riemergerebbe così la vecchia mentalità proporzionalistica pur nel contesto di un sistema che, alla resa dei conti, determina un esito con un'intensità maggioritaria superiore a quella che produce il sistema previsto per la Camera. E potrebbero non riproporsi nella competizione per il Senato gli schieramenti o poli quasi necessari nella competizione per l'altra Assemblea parlamentare; e la presenza di candidature esterne comuni (di cartello) tratte dalla società civile sarebbe più rara.

Comportamenti regressivi e dissociati di tale genere non sono ovviamente inevitabili. Un'analisi ragionata delle condizioni effettive, formali e sostanziali, che caratterizzano la stessa competizione elettorale per il Senato potrebbe in verità convincere le formazioni virtualmente appartenenti a un medesimo schieramento a impegnarsi in una strategia più positiva, di alleanze, contemplate, peraltro, dalla stesse legge che consente la presentazione di gruppi e (dunque di candidati) contraddistinti da una pluralità di contrassegni.

Questi gli elementi e fattori che potrebbero indurre ad opzioni più costruttive di cartello:

a) L'elezione del Senato a base regionale, in virtù della quale la ripartizione di tutti i seggi assegnati a ciascuna regione in rapporto alla sua consistenza demografica si esaurisce in tale ambito. Ciò determina una evidente disomogeneità di situazioni e di opportunità. Ad esempio, in Lombardia, la quota di seggi riservati alla distribuzione in ragione proporzionale è relativamente elevata (12 su un totale di 47) e può consentire anche ai partiti di medie dimensioni (quelli con una percentuale di voti attorno al 6 per cento) di scommettere sul conseguimento di qualche seggio, anche in virtù del meccanismo dello "scorporo" (che nella ripartizione proporzionale riduce la cifra elettorale dei gruppi che hanno ottenuto eletti nei collegi uninominali: per i particolari più avanti). Ma in altre regioni (e sono la maggioranza) i seggi in palio con la proporzionale sono assai di meno e non consigliano una eguale scommessa: così in Toscana sono soltanto 5 su 19 (e si tratta di una situazione intermedia). Tali cioè da rendere la scommessa non solo assai più rischiosa per le formazioni medie, ma tali da pregiudicare il risultato complessivo delle forze che si riconoscano nello stesso virtuale schieramento. La frantumazione delle candidature nei collegi uninominali favorisce evidentemente anche per il Senato i candidati di un campo avverso, tanto più se questo è riuscito a raggiungere fruttuose aggregazioni, magari così forti da giocare la carta della presentazione in determinati collegi di "sicure" candidature individuali (non inserite in gruppi), la cui riuscita compensa ampiamente la mancata partecipazione al riparto propor­zionale dei seggi.

 

b) La rincorsa al buon risultato nella ripartizione proporzionale (un vero e proprio specchietto per le allodole!) induce a dimenticare che i seggi in gioco, assegnati attraverso tale metodo, sono complessivamente solo 83 su 315. Gli altri 232 sono in palio nei collegi uninominali.

 

c) Una minore capacità di aggregazione per il Senato rispetto a quella eventualmente dimostrata per la Camera potrebbe costare molto cara sul piano delle prospettive di governo postelettorale; nel senso che il mancato conseguimento della maggioranza nella prima assemblea potrebbe rendere sterile l'eventuale successo ottenuto nella seconda. Si creerebbe in tale evenienza quello stato di paralisi, di instabilità o di innaturali compromessi per evitare il quale si è ricorsi al "rimedio" proprio delle riforme elettorali in senso maggioritario.

 

d) La diversificazione di tattica (o di strategia) per il Senato, nel senso regressivo innanzi ipotizzato, facilmente si ripercuoterebbe sulla qualità e sulla novità delle candidature e, in ultima analisi, sulla capacità di presa nei confronti degli elettori (razionali e istintivi). Si impoverirebbe dunque quel benefico incontro tra società civile e nuova politica, che dovrebbe costituire il fondamento della “seconda” Repubblica.

 

Queste ragioni (ma altre non mancano) sembrerebbero abbastanza forti per convincere gli attori politici a non rinunciare alla dimensione di schieramento nella competizione anche per il Senato. Gli eventuali accordi sottoscritti in tale direzione per la Camera potrebbero comunque provocare un positivo effetto di trascinamento.

 

 

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